Laureato in Giurisprudenza (1861), dal 1862 s’impiegò nell’amministrazione statale. Nel 1869 incontrò Quintino Sella, che lo nominò capo sezione alle Finanze e dal 1970 al 1871 lo volle suo segretario particolare. Da Depretis fu incaricato di reggere la direzione generale delle imposte e, dal 1877 al 1882, fu nominato segretario generale della Corte dei conti.
Nel 1882, già consigliere di Stato, fu eletto deputato per il collegio di Cuneo. Il suo programma s’ispirò a un liberalismo aperto alle correnti nuove della vita sociale e alle esigenze delle classi popolari.
Fece parte del gruppo dei liberali progressisti e seguì attivamente la politica finanziaria, lavorò soprattutto nella commissione del bilancio, per poi assumere il ministero del Tesoro nel secondo governo Crispi (1889-1890) e diventare il leader del partito delle economie nella sinistra liberale.
Alla caduta del governo Rudinì, il re lo scelse come presidente del Consiglio (1892), ma l’anno seguente la battaglia parlamentare di Crispi e lo scandalo della Banca romana segnarono la fine del suo primo governo.
Con l’inizio del Novecento conquistò un posto di rilievo: ministro degli Interni con Zanardelli (1901-1903), introdusse un sostanziale cambiamento nell’atteggiamento del governo di fronte ai conflitti sociali e assunse una posizione di neutralità in occasione degli scioperi.
Fu poi presidente del Consiglio per tre governi (1903-1914). La sua politica volle essere allo stesso tempo democratica e conservatrice, mirò a rafforzare lo Stato monarchico e il regime liberale promuovendo una più ampia partecipazione delle masse alla politica e un miglioramento delle loro condizioni attraverso una libera competizione fra le classi sociali. Tra i suoi obiettivi, ci fu quello di inserire nell’area del governo la Sinistra radicale e il socialismo riformista, nonché quello di superare la contrapposizione tra Stato liberale e Chiesa.
Con il quarto governo Giolitti, Luigi Credaro fu confermato ministro della Pubblica Istruzione e con Edoardo Daneo firmò la legge che poneva sotto il controllo dello Stato la scuola primaria (1911).
Verso la fine del primo decennio, in concomitanza con una crisi generale della società e dello stato liberali, ci furono i primi segni di squilibrio.
Si rivolse quindi al mondo cattolico e nel 1913 strinse un accordo elettorale che gli avrebbe consentito maggiori spazi di manovra politica, ma nel 1914 si dimise.
L’età giolittiana (1901-1914) fu un periodo di progresso economico, di rivoluzione industriale e di modernizzazione, di grande rigoglio culturale e di mutamenti nella società e nel costume, che avvicinarono l’Italia ai grandi stati moderni.
Allo scoppio della guerra, si dichiarò neutralista e rimase ai margini della vita politica. Nel 1920 però venne richiamato per costituire il suo quinto governo, in una situazione di durissimo conflitto politico e sociale che segnava la dissoluzione dello stato liberale. Il suo programma prevedeva anche la definitiva soluzione dei problemi rimasti aperti in campo internazionale, il controllo del Parlamento sulla politica estera e severe misure finanziarie per il risanamento del bilancio. Dovette inoltre fronteggiare la fase più acuta del biennio rosso.
Nel giugno 1921 rassegnò le sue dimissioni. Come deputato liberale, dal 1924 fu all’opposizione del governo Mussolini.
Nel 1925 si dimise da presidente e membro del Consiglio provinciale di Cuneo. A ottantatré anni si congedò definitivamente dalla politica.
Opere principali: Memorie della mia vita (1922), Discorsi extraparlamentari, a cura di N. Valeri (postumo, 1952); Discorsi parlamentari, a cura di S. Furlani (postumo, 1953-1956)